Il radon è tecnicamente un gas nobile, incolore e inodore, che si sviluppa lungo la serie di decadimento radioattivo dell’Uranio238 in Piombo206. Il gas si sviluppa naturalmente da rocce, suolo e sottosuolo, benchè in quantitativi molto variabili sulla base della loro natura geologica. Infatti, in presenza di affioramenti di rocce di natura magmatica, metamorfica e piroclastica (tufi) si registrano livelli di contaminazione decisamente più elevati. Anche il materiale utilizzato per la costruzione può incidere notevolmente sul livello di gas emesso. Il citato processo di decadimento del 222Radon (nome scientifico del radionuclide) prevede il rilascio di una certa quantità di radiazione (detta energia α) la quale è in grado di provocare seri danni alla salute: nello specifico, la pelle umana è uno scudo naturale in grado di contrastare con successo tale radiazione α ma attraverso il processo di naturale respirazione, il gas radon è in grado di entrare nel sistema respiratorio e qui gli organi interni (bronchi e polmoni) privi di epidermide sono direttamente investiti dalle radiazione sprigionate.

Stato dell’arte e situazione dell’Italia?

Il primo piano di valutazione del rischio radon in Italia, realizzato di concerto tra ISPRA, ISS e i centri regionali di riferimento per la radioattività ambientale (le future ARPA regionali), risale alla fine degli anni ‘80/’90. Al seguito, è stata realizzata una prima mappatura, su base regionale e relativamente accurata, del livello medio di esposizione al radon nelle abitazioni. Il livello medio sul territorio nazionale è risultato essere di 70 Bq/m3 (superiore alla media europea – 59 Bq/m3 – e mondiale – 40 Bq/m3) con variazioni molto ampie (da poche decine fino a qualche migliaio). Le regioni maggiormente soggette al rischio Radon sono risultate essere la Lombardia e il Lazio (media tra 100 e 120 Bq/m3) assieme al Friuli e la Campania (media tra 80 e 99 Bq/m3) mentre quelle meno soggette (media tra 20 e 39 Bq/m3) sono Liguria, Marche, Basilicata, Calabria e Sicilia. Sulla base delle normative italiane ed europee, diverse regioni/provincie autonome hanno nel tempo aggiornato e approfondito le analisi sul territorio, arrivando a delineare nel tempo un quadro abbastanza aggiornato e accurato da ritenersi sostanzialmente poco mutevole nel tempo, quindi anche in futuro, per la natura intrinseca della fonte di rischio.

La normativa europea e nazionale sul rischio Radon

A livello europeo, la direttiva 2013/59/EURATOM (in abrogazione delle precedenti direttive EURATOM, redatte dal 1989 al 2003) aggiorna e ristabilisce le “norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti” e tratta in modo approfondito la questione Radon, a livello civile e professionale. In italia, l’attuazione (recepimento) della suddetta direttiva è avvenuta con il D.Lgs. 101 del 31 luglio 2020 ma, in parte a causa del momento storico (piena pandemia Covid-19) e in parte per colpa di una scadente pubblicizzazione, la sua attuazione è tutt’ora in fase embrionale. Vediamo ora nello specifico come tale norma influenza, soprattutto, la sfera della salute e sicurezza sul posto di lavoro. Il D.Lgs. 101/2020 ha subito leggere modifiche per quanto riguarda la materia Radon da parte del D.Lgs. numero 203 del 25 novembre 2022 che entreranno in vigore dal 18 gennaio 2023.

Piano nazionale d’azione per il Radon

Il D.Lgs. 101/2020, all’articolo 10, definisce che entro 12 mesi dall’entrata in vigore della stessa (pertanto entro agosto 2021), lo stato italiano avrebbe dovuto dotarsi del Piano nazionale d’azione per il Radon e questo dovrà contenere, tra le altre, le strategie per ridurre i rischi dovuti all’esposizione, i criteri per individuare (mappare) le aree più critiche nonché revisionare le tecniche edilizie di contrasto all’ingresso del Radon all’interno degli edifici. Ad oggi, il suddetto piano non risulta aggiornato e rimane pertanto in vigore quello precedente, datato 2002. Questa situazione determina l’assenza di linee guida aggiornate e, di conseguenza, l’intera struttura di prevenzione che il D.Lgs 101/2020 ha potenzialmente messo in atto stenta ad entrare a regime e deve far riferimento a documentazione e studi datati. In soccorso a tale situazione sono però intervenute negli anni le Regioni e province autonome che, più o meno virtuosamente, hanno aggiornato la loro normativa (sulla base della direttiva 2013/59/EURATOM e talvolta precedendo il D.Lgs. 101/2020) e permesso di progredire nel processo di prevenzione per i cittadini e le imprese.

Individuazione delle aree prioritarie: l’esempio della regione Lombardia

Il passaggio della normativa (articolo 11) che prescrive questa attività chiama direttamente in causa le regioni e le province autonome imponendo loro 24 mesi di tempo, dall’entrata in vigore del Piano nazionale d’azione per il Radon, per realizzare e pubblicare sulla gazzetta ufficiale le “aree in cui si stima che la concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici” ovvero “della percentuale di edifici che supera il livello di 300 Bq/m3 [Bacquerel al metro cubo] è pari o superiore al 15 per cento […] con indagini o misure di radon effettuate o riferite o normalizzate al piano terra”. Purtroppo, in assenza della pubblicazione del piano nazionale aggiornato e, di conseguenza, venendo a mancare le nuove indicazioni tecnico-pratiche per effettuare le misurazioni e le valutazioni di queste, le regioni e le province autonome hanno, talvolta, sviluppato tale attività in completa autonomia basandosi però linee guida non aggiornate, seppur autorevoli, e/o metodologie tecniche non standardizzate. Spesso questa attività è stata portata avanti dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente (le ARPA). La regione Lombardia con la Legge Regionale n. 3 del 3 marzo 2022 ha eseguito il riordino della precedente normativa di livello regionale sul tema Radon e, in attuazione alla Direttiva 2013/59/Euratom e del D.Lgs. 101/2020, “nella more dell’entrata in vigore del piano nazionale d’azione per il rado”, ha deciso che “si applicano le Linee guida per la prevenzione delle esposizioni al gas radon in ambienti indoor, approvate sulla base di indicazioni tecniche internazionali con decreto dirigenziale n. 12678 del 21 dicembre 2011, e gli aggiornamenti relativi alle stesse linee guida” (ex Art. 66 septiesdecies comma 3 della suddetta Legge Regionale). Su tali presupposti, la regione ha continuato ad aggiornare la mappatura del territorio, iniziata nel 2011, nonchè ha richiamato i comuni lombardi a “integrare i regolamenti edilizi comunali con norme tecniche specifiche per la protezione dall’esposizione al gas radon in ambienti chiusi”.

Nuove figure professionali: il tecnico esperto di risanamento radon

L’articolo 15 della norma italiana istituisce tale nuova figura professionale allo scopo di supportare le attività di risanamento per le abitazioni in ristrutturazione e l’applicazione delle corrette modalità di protezione e prevenzione per gli edifici di nuova costruzione, siano questi di natura civile che industriale. Ancora una volta, la norma richiama il piano nazionale e, fortunatamente per gli addetti ai lavori coinvolti, anche “le indicazioni tecniche internazionali”. L’allegato II del D.Lgs. 101/2020 definisce i requisiti minimi per questa figura professionale che si compongono di un titolo di studio di base (geometra, architetto o ingegnere), l’iscrizione all’albo professionale relativo e, infine, la necessità di frequentare uno specifico corso tecnico di abilitazione a tale professione.

Valutazione del rischio Radon sui luoghi di lavoro e obblighi per gli esercenti

Una delle parti fondamentali del D.Lgs. 101/2020 sono gli articoli 16 e 17 della sezione II i quali definiscono dove vada applicata la normativa e quali sono gli obblighi per i datori di lavoro. Nello specifico:

  • Luoghi di lavoro sotterranei (“locale o ambiente con almeno tre pareti sotto il piano di campagna, indipendentemente dal fatto che queste siano a diretto contatto con il terreno circostante o meno”, ex. Art. 86bis D.Lgs. 101/2020). Obbligo di completamento delle misurazioni entro 24 mesi dall’inizio dell’attività o dell’entrata in vigore della normativa, ovvero entro luglio 2022. Sono da considerarsi luoghi di lavoro sotterranei anche le attività che si svolgono in tunnel, sottovie, catacombe e grotte (ex. Art. 5 D.Lgs. 230/1995).
  • Stabilimenti termali. Obbligo di completamento delle misurazioni entro 24 mesi dall’inizio dell’attività o dell’entrata in vigore della normativa, ovvero entro luglio 2022.
  • Luoghi di lavoro seminterrati e luoghi di lavoro al piano terra. Se l’attività ricade nell’elenco delle aree prioritarie redatto dalle singole regioni/provincie autonome, vige obbligo di completamento delle misurazioni entro 24 mesi dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale dell’elenco stesso o 18 mesi dall’individuazione stesso da parte delle Regioni/province autonome. Vista l’assenza dei documenti nazionali richiamati dalla norma (per le motivazioni viste in precedenza), è evidente quindi che possano essere utilizzate documentazioni a livello regionale: prendendo come esempio ancora una volta la regione Lombardia, la documentazione visualizzabile sul sito dell’ARPA Lombardia è da considerarsi base autorevole. Per le altre regioni/provincie autonome d’Italia, è necessaria una valutazione ad HOC caso per caso.
  • Particolari luoghi di lavori presenti in apposito elenco contenuto nel Piano nazionale d’azione per il radon. Vige l’obbligo di terminare le misurazioni entro 24 mesi dalla pubblicazione del suddetto elenco. Anche in questo caso, essendo assente il piano e, oltretutto, non essendoci nessun elenco nel vecchio piano del 2002, ancora in vigore, è plausibile utilizzare, in via cautelativa, l’elenco ex. Art. 5 D.Lgs. 230/1995 che include le “attività lavorative implicanti l’uso e lo stoccaggio” e “che comportano la produzione di residui di materiali abitualmente non considerati radioattivi ma che contengono radionuclidi naturali”, cioè, la maggior parte delle attività estrattive.

Il datore di lavoro ha quindi l’obbligo di far eseguire le misurazioni, secondo le specifiche tecniche cogenti, da parte di enti e attività specializzate. L’analisi dei campioni viene eseguita da laboratori autorizzati e il limite di legge da non superare è fissato a 300 Bq/m3. Qualora tale limite non sia superato, il DL deve conservare i documenti per 8 anni e successivamente eseguire di nuovo il campionamento. Se, viceversa, il limite viene superato, il datore di lavoro dovrà:

  • Procedere, entro 2 anni, a bonificare l’edificio secondo le indicazioni fornitegli dal tecnico espero di risanamento radon;
  • Eseguire, al termine della bonifica, nuove misurazioni e, conseguentemente:
    • In caso di valori scesi sotto soglia, conservare la documentazione per 4 anni e successivamente procedere a nuovo campionamento quadriennale;
    • In caso di valori ancora sopra la soglia, procedere con la valutazione annuale delle dosi efficaci (fissate a 6 mSv/anno) tramite l’analisi di un esperto di radioprotezione che rilascerà apposita relazione di intervento.

Regime sanzionatorio

La mancata misurazione da parte dell’esercente, nei termini e nelle tempistiche definiti sopra, è punito con l’arresto da 1 a 6 mesi o con l’ammenda da 2.000 a 15.000 €. La mancata ottemperanza dell’obbligo di interpello dell’esperto di risanamento e di successiva mancata attività di bonifica, a seguito di rilevamenti superiori ai limiti definiti per legge (300 Bq/m3 fino a fine 2023), fa scattare la sanzione dell’arresto da 6 a 12 mesi o dell’ammenda da 5.000 a 20.000 €).

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